Le imprese lombarde alle prese con la Pandemia
di Valentina Marchesin
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Il blocco dell’attività economica globale, legato all’introduzione di misure governative finalizzate a contrastare la diffusione della pandemia da Covid-19, ha messo a dura prova l’economia globale. Le previsioni risultano incerte ed influenzate dall’andamento dell’epidemia e dai suoi effetti sul sistema sanitario, nonché dall’andamento delle campagne vaccinali. Nonostante ciò, le stime del Fondo Monetario Internazionale indicano una contrazione della crescita globale nel 2020 (-3.5%) di portata inferiore rispetto alle aspettative, complice il solido ed inaspettato recupero dell’economie nella seconda metà del 2020. Anche oggi, grazie alle speranze legate alle crescenti somministrazioni vaccinali, il quadro economico globale rimane alquanto incerto in relazione ai possibili effetti che le differenti misure di sostegno nazionali avranno sul sistema economico mondiale.
Le ferite maggiori di questa crisi sono state inflitte alle economie avanzate, con particolare riferimento agli Stati Uniti e all’Europa, che nel secondo trimestre del 2020 hanno subito brusche contrazioni del Prodotto interno lordo dettate dal crollo dei consumi privati e degli investimenti, componenti che hanno contribuito alla crescita del GDP nel terzo trimestre dello stesso anno.
La brusca frenata all’attività produttiva non ha risparmiato l’Italia, alle prese da anni con una crescita economica stagnante, e che ha concluso il 2020 con una contrazione del Pil pari a 8,9%.
La generalizzata interruzione della produzione ha investito anche il territorio lombardo, uno tra i centri principali di creazione della ricchezza nazionale, e che, secondo le stime basate sull’indicatore ITER di Banca d’Italia, ha registrato un calo del prodotto del 12% nei primi sei mesi del 2020. La riduzione ha colpito tutte le attività industriali, infliggendo pesanti ripercussioni sull’industria manifatturiera, con particolare riferimento al settore calzaturiero, tessile, dell’abbigliamento, dei trasporti e della produzione metallica. Alle perdite non si sono sottratti neanche i comparti degli alimentari, della chimica e della farmaceutica, che, però, hanno segnato le variazioni negative inferiori (Figura 1).
Sulla scia della dinamica regionale, anche la provincia di Varese ha registrato un brusco calo dell’attività, accentuato anche dal peso relativo che l’industria manifatturiera ricopre. Infatti, la manifattura interessa circa l’11% dell’attività produttiva provinciale a fronte del 9% a livello regionale. Complessivamente l’indagine congiunturale realizzata dall’Ufficio Studi dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese stima una perdita media del fatturato di circa 14 punti percentuali rispetto al 2019.
Nonostante il difficile anno, il tessuto imprenditoriale manifatturiero lombardo ha mostrato un’elevata resilienza, riuscendo a contenere i danni e mantenendo una forte capacità di investimento. In particolare, la tenuta dell’intero comparto è stata resa possibile dalla forte crescita della domanda estera nella seconda parte dell’anno (+8%) in grado di compensare, almeno in parte, la contrazione della domanda interna ed esplicativa, ancora una volta, dell’ottimo posizionamento della manifattura lombarda nel mercato estero.
La flessione dei volumi produttivi ha interessato tutte le imprese a prescindere dalla classe dimensionale, avendo però effetti più marcati sulle micro e piccole imprese, popolazione di aziende più diffuse sul territorio lombardo. Quanto descritto può essere apprezzato analizzando la Figura 2, che mette in relazione la dinamica della produzione per classe dimensionale di impresa.
Il calo della produzione è stato accompagnato in modo analogo da una diminuzione degli ordinativi di vendita che, per tutta la Lombardia, hanno segnato una contrazione del 11% rispetto ai primi nove mesi del 2019. A trascinare il dato verso il basso ha inciso la forte riduzione dei consumi interni che ha interessato il secondo trimestre del 2020.
Un medesimo trend negativo è osservabile anche negli scambi che la regione effettua con l’estero, valore che testimonia ancora una volta la portata globale della crisi sanitaria. Infatti, nei primi sei mesi del 2020 le esportazioni lombarde hanno segnato una forte contrazione, attestatasi intorno al 15.3%, in linea con il dato nazionale. Il valore particolarmente negativo trova la sua origine nella brusca riduzione dell’attività con estero che si è verificata nel secondo trimestre del 2020 e che ha interessato i flussi commerciali di tutte le attività economiche (con particolare riferimento al comparto della meccanica, della metallurgia e tessile) sia verso i paesi europei che verso quelli extra-europei, complice la decisione assunta nel mese di marzo di favorire il trasporto esclusivo di beni di prima necessità.
La caduta della domanda e l’incertezza circa l’evoluzione futura della pandemia e dell’economia, anche globale, ha avuto ricadute negative sui programmi di investimento formulati dalle imprese. A riprova di ciò, il sondaggio realizzato da Banca d’Italia sulle imprese industriali e dei servizi evidenzia come solo poco meno della metà delle imprese abbia rispettato i programmi di investimento prospettati per il 2020, dato più basso sull’orizzonte temporale analizzato. Parimenti, circa il 43% delle imprese del campione ha rivisto a ribasso la spesa per gli investimenti programmati all’inizio dell’anno (Figura 3).
Il blocco all’attività produttiva e il brusco calo della domanda sia interna che estera ha innescato una dinamica recessiva che ha avuto impatti sulla redditività aziendale, in termini di riduzione dei ricavi. Infatti, stime di Banca d’Italia affermano che poco meno del 45% delle aziende dell’industria e dei servizi prevedono di chiudere in utile l’esercizio del 2020.
La pressione sulla redditività unita all’anomala crescita del livello delle scorte, dettata in via prioritaria dai ritardi nelle consegne delle merci, ha sottoposto il settore produttivo ad uno stress finanziario senza precedenti, in particolare sotto il profilo della liquidità. La sospensione dei flussi di cassa in entrata e gli impegni, sia commerciali che finanziari, hanno determinato un forte squilibrio di liquidità, in larga parte coperto grazie all’introduzione di provvedimenti normativi (Decreto legislativo Cura Italia e Liquidità) che sono stati indispensabili nel fornire le necessarie risorse finanziarie alle imprese temporaneamente in difficoltà. Per dare un’esemplificazione delle necessità finanziarie delle imprese il sondaggio autunnale sulla congiuntura delle imprese industriali e dei servizi ha rilevato che per circa il 35% delle imprese intervistate le risorse liquide disponibili durante il secondo trimestre del 2020 sono state scarse rispetto a quelle disponibili alla fine del 2019.
L’efficacia di questi interventi è testimoniata dalle stime realizzate da Banca d’Italia, secondo le quali le misure di sostegno hanno aumentato in modo considerevole il numero di imprese che hanno potuto soddisfare i propri fabbisogni di liquidità, riducendo allo stesso tempo il numero di imprese potenzialmente sottocapitalizzate (De Socio et altri 2020).
Moratorie, rinegoziazione delle scadenze sui debiti finanziari e ricorso a nuovo credito bancario sono state le forme tecniche privilegiate dalle imprese per colmare le carenze di risorse finanziarie. Da segnalare inoltre, quali risorse addizionali, quelle provenienti da tagli a voci di spesa straordinarie e da rinegoziazione di crediti commerciali.
La situazione finanziaria delle imprese e la dinamica del credito
Il sostegno alle imprese colpite dagli effetti recessivi della pandemia ha innescato una esponenziale crescita del credito bancario nei primi sei mesi del 2020, anche in virtù dell’incertezza relativa alle future prospettive economiche. Dopo anni di relativa stabilità, il credito al settore non finanziario ha iniziato una considerevole crescita su base mensile, spinta dalle misure di sostegno governative e dall’autorità di vigilanza, nonché dalla politica monetaria accomodante. A questo proposito, la Figura 4 mette in luce il trend di forte crescita dei prestiti alle imprese iniziato nei primi mesi del 2020. Le risorse erogate sono state ingenti ed hanno interessato tutte le classi dimensionali di imprese.
La crescita della domanda di credito è stata dettata da un sostanziale aumento del numero delle imprese che hanno richiesto finanziamenti al sistema bancario. Infatti, il fabbisogno di capitale circolante unito alla diminuzione della capacità di autofinanziamento ha fatto raddoppiare il numero di finanziamenti concessi, che è passato dal 17% al 40% in soli sei mesi. È importante sottolineare che i finanziamenti sono stati indirizzati ad imprese considerate finanziariamente solide.
Per quanto concerne le condizioni di finanziamento riconosciute alle imprese, è stato riscontrato un lieve accomodamento dettato prevalentemente dai provvedimenti di sostegno emanati dal governo. In particolare, sono diminuiti i costi accessori richiesti alle imprese per il finanziamento e gli spread medi tra tassi su prestiti di piccolo importo ed erogazioni superiori a oltre un milione di euro.
Il trend di crescita del credito si aspetta positivo anche per il 2021 in relazione all’elevato quadro di incertezza che caratterizza il contesto storico. A tal riguardo, nel mese di febbraio 2021 i prestiti alle società non finanziarie italiane sono aumentati del 7,6% (l’aumento del mese precedente era stato del 7,3%).
La dinamica positiva del credito è stata accompagnata da una sostanziale riduzione del grado di diversificazione delle fonti di finanziamento delle imprese. Le turbolenze sui mercati finanziari hanno limitato le raccolte, che per le imprese industriali lombarde si sono azzerate nei mesi di marzo e aprile. Il collocamento presso il mercato di obbligazioni ha ricominciato a crescere nei messi successivi interessando le imprese di grandi dimensioni e finanziariamente solide, che hanno collocato i propri titoli di debito con l’obiettivo di fare scorte di liquidità.
Per quanto riguarda le condizioni economico finanziarie delle imprese, è possibile constatare come l’aumento della domanda di credito da parte delle imprese abbia comportato una crescita dei depositi che le imprese detenevano presso gli intermediari finanziari. A tal proposito si stima che le disponibilità liquide in bilancio siano aumentate di circa l’8% rispetto all’anno precedente. Questo testimonia il comportamento precauzionale delle imprese, interessate a far scorta di liquidità in virtù dell’incertezza del panorama economico-finanziario. Per questo le imprese, simmetricamente alla crescita del proprio passivo di bilancio, hanno registrato aumenti dell’attivo in termini di aumento dei depositi bancari e di magazzino.
Quanto esposto evidenzia come l’aumento dell’esposizione verso il settore bancario non abbiamo incrementato la rischiosità delle imprese, la cui capacità di onorare i debiti contratti dipende unicamente dalla capacità di redditività, bruscamente ridotta durante il 2020. Infatti, la debolezza della ripresa economica, determinata dalla recrudescenza della pandemia e dalle misure di restrizione funzionali a contenere l’emergenza sanitaria, impatta sostanzialmente la redditività delle imprese, con particolare riferimento a quelle unità che si trovano a valle della filiera produttiva. Alla scarsa redditività, si aggiungono le possibili difficoltà nell’accesso al credito che imprese di piccole dimensioni saranno destinate ad incontrare alla scadenza delle misure di sostegno pubblico.